La sua vita.
Maria Sharapova nasce il 19 aprile 1987 a Njagan’, in Siberia (Russia). Inizia a giocare a otto anni negli USA presso l’Accademia di Nick Bollettieri e a soli 17 è la prima giocatrice russa a vincere il singolare femminile a Wimbledon. L’anno successivo la WTA la classifica come lanumero uno e lo sarà per altre 4 volte, l’ultima delle quali nel 2012.
Donna di straordinaria bellezza nel 2005 e 2006 la rivista Forbes la inserisce tra le 50 donne più belle del mondo ed è stata protagonista di numerose campagne pubblicitarie. Di contro le sue avversarie tenniste, forse un po’ invidiose della sua bellezza, non la amano e soprattutto sono infastidite dalle grida che accompagnano i suoi colpi di racchetta.
Dal 2006 si impegna nel sociale per la lotta alla povertà e per aiutare l’infanzia con la fondazione che porta il suo nome, come già hanno fatto alcuni suoi colleghi .
Nel 2016 partecipa all’Australian Open dove arriva ai quarti e viene battuta da Serena Williams. Durante la conferenza stampa del 7 Marzo 2016 comunica che durante quella competizione è stata trovata positiva all’antidoping e dopo tre mesi la ITF decide la sua squalifica fino al 2018 ma la tennista ricorre in appello e, precisando che la violazione era di natura non intenzionale, le viene ridotta la pena dai 24 mesi iniziali ai 15 mesi. Torna sui campi nell’aprile del 2017 e nello stesso anno vince per l’ultima volta un torneo il WTA Tianjin.
Il suo addio al tennis.
Pochi giorni fa la notizia del suo abbandono al tennis dovuta anche, come lei stessa ha scritto e riportiamo, ai suoi problemi di saluti. “È ora di dire basta. I problemi alla spalla non sono una novità per me. Ho subito la prima operazione nel 2008, e un’altra nel gennaio dello scorso anno. In mezzo, ho fatto tante di quelle terapie e sessioni di riabilitazione da perderne il conto. Ho sempre guardato avanti con grinta per vincere e tornare ai massimi livelli, ma qualcosa è cambiato la scorsa estate. Ero all’Open degli Stati Uniti, negli spogliatoi. Venivo da un periodo pieno di problemi fisici, l’ennesimo, e prima del mio esordio mi sono detta che già il fatto di scendere in campo era un successo. Non avevo mai ragionato in quel modo: ciò che io ritenevo una vittoria era semplicemente la condizione base per competere. Il mio corpo stava diventando una distrazione e lì ho pensato che sarebbe stato inutile accanirsi”.
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